Yulia, un’emigrata rumena a Gerusalemme, viene uccisa durante un’attentato kamikaze. Siccome nessuno reclama il suo corpo, gli addetti all’obitorio informano la stampa che monta un caso: l’unico documento ritrovato sulla donna e’ il tesserino che la dichiara impiegata nel piu’ grande panificio di Gerusalemme percio’ l’azienda viene accusata di negligenza verso i propri lavoratori. Per rimediare alla perdita di immagine la proprietaria dell’attivita’ si offre di pagare il funerale di Julia e di riportare la salma in patria. Si occupera’ di tutto il responsabile delle risorse umane, seguito dall’odiato giornalista che ha montato il caso.
Eran Riklis, regista de Il giardino di limoni trae dall'omonimo romanzo di Abraham B. Yehoshua una strana opera che si apre a Gerusalemme e spiega, in maniera non troppo lineare e quindi un po’ difficile da seguire, la vita di Julia, licenziata da oltre un mese dal panificio dal responsabile notturno per troncare sul nascere la loro storia d’amore. Ci introduce anche il protagonista che ha la faccia molto interessante di Mark Ivanir, uomo dedito alla carriera, separato dalla moglie e alla affannosa ricerca di costruire un rapporto con la figlia che puntualmente delude.
Con la decisione di trasportare la salma in Romania il film si trasforma in un surreale road movie a meta’ tra lo stile di Kusturica e dei Kaurismaki: quando si cerca di togliere il ghiaccio dalla bara di Julia sul portapacchi del furgoncino non ho potuto fare a meno di pensare all’inizio dei Leningrad Cowboys Go America.
L’epopea del viaggio di ritorno verso casa di Yulia, diventa una fiera di burocrazia corrotta con l’accumulo di personaggi sempre piu’ bizzarri a partire dala consola israeliana a Bucarest con l’amato consorte. Il marito separato di Julia, avendo divorziato dalla donna, non puo’ prendere in carico la salma, si ricorre allora al figlio adolescente fuggito di casa e diventato un ragazzo di strada, ma e’ minorenne e a sua volta non puo’ occuparsi del funerale, non resta che affrontare altri mille chilometri attraverso una desolata Romania coperta dalla neve per recarsi al villaggio natio dell'emigrata dove la madre potra’ occuparsi delle pratiche funebri. Il lungo viaggio viene affrontato con la guida di un autista perennemente ubriaco e dalla patente scaduta. Una tremenda bufera di neve costringe il gruppo a chiedere riparo presso una vecchia postazione dell’Armata Rossa che presidia un bunker in mezzo al nulla. Soccombe anche il furgoncino dell’ambasciata e il viaggio prosegue su un hamvee di fabbricazione sovietica.
Attenzione Spoiler Giunti all’agognata meta, dopo aver reso gli onori alla salma la madre di Yulia dice che la figlia non appartiene piu’ a quel luogo e il mezzo militare con il feretro prende a via del ritorno, amara constatazione sulla condizione dell’ emigrato che difficilmente riesce ad insierisi nel nuovo Paese e nel contempo spesso perde i legami con la terra d’origine.
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