Italia 1934,
con Giuseppe Gulino, Aida Bellìa
regia di Alessandro Blasetti
1860: in Sicilia il popolo freme in attesa dell’arrivo di Garibaldi; il giovane contadino Carmeliddu viene scelto per andare a Genova ed informare il colonnello Carini della situazione siciliana. Lasciata l’amata moglie Gesuzza, il picciotto arriva a Genova con mezzi di fortuna ma fara’ ritorno assieme alle camicie rosse garibaldine.
Quasi sperimentale l’inizio della pellicola: quattro minuti senza dialoghi che descrivono il giogo borbonico per reprimere i fermenti risorgimentali tra i contadini; un minutaggio importante nell’economia di una pellicola che non dura nemmeno 80 minuti.
I soldati borbonici sono mercenari svizzeri di lingua tedesca e a posteriori il film risulta drammaticamente profetico per l’uso di quella lingua germanica usata per impartire ordini di morte e scegliere a caso tra i prigionieri le vittime delle fucilazioni.
Lo spirito antiretorico che anima il lavoro di Blasetti e’ chiaro fin dal principio: il fanciullo che va a chiamare Carmeliddu viene ucciso, colpito alle spalle da un soldato asburgico, il regista preferisce mostrarci il soldato che spara e non la morte del ragazzo che sara’ evidente solo quando verra’ ricomposto sul letto. Anche le fucilazioni dei ribelli saranno sempre fuori campo.
Antiretorica e’ anche la scelta di raccontare l’epico sbarco dei Mille con il viaggio all’incontrario di Carmeliddu, che risale la penisola per informare gli esuli siciliani. Partito con una semplice barchetta riesce ad arrivare fino a Civitavecchia e la parte finale del viaggio con il protagonista stremato offre ancora delle soluzioni ardite per un film celebrativo: la dimensione delirante delle onde su cui si sovrappone l’ombra del veliero che soccorre Carmeliddu.
Il viaggio in treno e la permanenza a Genova sono divertenti perche’ offrono uno spaccato dell’italianita’ rimasto immutato fino ai giorni nostri: la piccata diatriba politica tra il cattolico e il “federalista” continuera’ anche sul campo di battaglia quando il primo rimbecchera’ il mangiapreti mostrandogli il frate coinvolto nella rivolta. Il disfattismo e il finto cinismo di chi non crede alla partenza di Garibaldi e poche ore dopo si ritrova a Quarto per imbarcarsi. Non manca la babele di dialetti che mi ha fatto sorridere pensando alle feroci critiche mosse allo spot RAI di quest'anno per ricordare la scadenza del canone.
La ricostruzione della vita dei contadini siciliani, le riprese in esterni, l’uso dei diversi dialetti anticipano in qualche modo la scuola neorealista anche se non manca un rimando alla cinematografia russa nell’uso dei primi piani dei volti.
Ancora una volta Alessandro Blasetti riesce a schivare la propaganda fascista piu’ greve: se viene mostrato chiaramente il testo con cui Garibaldi si arroga la dittatura sulla Sicilia perche ‘ “nei momenti difficili c’e’ bisogno di un uomo forte al comando”, non mancano dialoghi in cui si esalta la necessita’ di una repubblica.
Nel 1951 il regista stesso curo’ il taglio dei cinque minuti finali in cui le camice nere sfilano davanti ai reduci garibaldini.
Titoli alternativi: 1860 - I Mille di Garibaldi
Sicilia 1860
Gesuzza the Garibaldian Wife (USA)
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