Anche se protagonista assoluto della serie dovrebbe essere Enrico VIII, a dare un certo spessore alle quattro stagioni de I Tudors resta la galleria di personaggi femminili che si inanellano nel corso della storia. Se nella prima stagione Margaret Tudor, la sorella del re, rappresentava il lato comico del serial, nel corso delle altre stagioni anche i personaggi femminili minori riescono a spiccare sul l’altrimenti piatto quadro storico delle battaglie politiche e religiose volute da Enrico. C’e’ una maggiore profondita’ di scrittura solo nel tratteggiare l’astutissima Lady Herford che riesce a mettere nel sacco il cardinale Gardiner quando l’accusa di essere luterana e quindi eretica, che nel raccontare le lotte interne ed estere che il sovrano deve domare.
Non mi pare che l’interesse per le figure femminili sia dovuto solo al loro rappresentare il lato romantico e quindi erotico della vicenda, lo stesso spirito voyeristico dovrebbe allora animare lo spettatore durante le scene di tortura che sono piuttosto dettagliate; non so quanto questo sia voluto, ma le diverse sfaccettature che le figure femminili mostrano nel corso della serie diventano quasi un compendio dei vari modi di sopravvivere delle donne in un mondo maschilista e ancora profondamente medievale come la corte di Enrico VIII. La quarta serie non raggiunge le vette della seconda ma la puntata migliore resta la quinta, quella del processo a Catherine Howard, quinta moglie del sovrano, decapitata per alto tradimento in quanto infedele al talamo nuziale: il montaggio alternato tra la messa a morte dei suoi amanti e la sua ultima danza solitaria racchiude l'intero destino di una fanciulla che ha puntato tutto sulla seduzione. Il momento della sua decapitazione con l’ascia che le stilla sul collo il sangue di Lady Rochford che l’ha preceduta al patibolo resta la scena indimenticabile dell’ultima stagione.
A dar vigore alle ultime puntate arriva il tatticismo della vedova Parr, ultima moglie di Enrico che riesce a sfuggire alle accuse di eresia e l’indurirsi del carattere di Lady Maria, figlia primogenita del sovrano che passera’ alla storia come Bloody Mary, per la furia con cui cerco’ di riconvertire l’Inghilterra al cattolicesimo.
Se il ritratto di Enrico VIII non e’ lusinghiero, la serie ce lo mostra come un sovrano capriccioso sempre pronto ad accusare i consiglieri del momento delle scelte che si sono rivelate sbagliate, non si puo’ essere altrettanto negativi con l’attore che l’interpreta, Jonathan Rhys-Meyers. Confesso che parte del mio interesse verso la serie nasceva proprio dal desiderio di vedere come avrebbero trasformato il bellissimo attore nel vecchio grasso e gottoso che fu Enrico nei suoi ultimi anni. Per quanto invecchiato dal trucco Rhys-Meyers non prova neppure ad assomigliare al vecchio sovrano: scelta intelligente, che evita l’impari confronto con l’Enrico VIII portato sullo schermo nel 1933 da Charles Laughton e che gli valse l’oscar come miglior attore protagonista per Le sei mogli di Enrico VIII (The Private Life of Henry VIII) di Alexander Korda.
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