Aureliano Amadei nel 2003 ha 28 anni e aspirazioni nel mondo del cinema. Gli viene proposto un lavoro come aiuto regista per un film che si deve girare in Iraq e pur essendo un giovane alternativo di sinistra contrario alla guerra, Aureliano accetta l’impiego. Parte per il Golfo l’11 novembre 2003 e avra’ a malapena il tempo di fumare un pacchetto di sigarette prima di restare coinvolto nell’attentato di Nassiriya.
L’italia ripudia la guerra, declama la Costituzione Italiana e aldila’ di ogni considerazione politica dev’essere pur vero se da quasi un decennio siamo impiccati in uno sforzo bellico e 20 sigarette e’ il secondo film che si occupa di raccontare una guerra (o due?) cosi’ lontana e a cui siamo totalmente indifferenti. L’altra pellicola, per inciso, era Saddam dove la caccia al dittatore si rivelava un reality show. Anche la fiction televisiva si e’ limitata a un solo esempio di storia militare che narrava proprio di Nassiriya con Raoul Bova.
Siamo un popolo che non ama la retorica probabilmente e certamente siamo affaccendati in beghe ben piu’ pressanti che una guerra nel Golfo Persico a cui abbiamo espresso il nostro rifiuto quando e’ iniziata e poi ce ne siamo disinteressati.
Ben venga allora la pellicola di Amadei che attraverso la sua esperienza personale ci costringe a confrontarci con qualcosa che sembra essere stato rimosso, intitolazione di piazzette a parte.
La pellicola ha indubbiamente dei limiti, soprattutto la seconda parte, dopo il ritorno in Italia e il ricovero nell’ospedale militare romano, perde mordente e si trascina in sottofinali sempre piu’ sfilacciati in cui si sintetizza l’esperienza del libro scritto da Amadei, 20 sigarette a Nassiriya, e il segno indelebile che la traumatica esperienza ha lasciato anche nella sua vita di padre.
La prima parte del film e’ invece molto interessante nel descrivere i preconcetti che un ragazzo (e un mondo) pacifista ha nei confronti dei militari salvo poi trovarsi di fronte a persone ricche di umanita’ a cui lega di sincera amicizia in un sol giorno. C’e poi un’idea autoriale dietro la regia di questo film, quella di mostrare il momento della strage tutto in soggettiva, scelta intelligente dato che l’opera mette in scena un’esperienza personale, incidentalmente una delle piu’ grosse perdite che abbiamo registrato nelle missioni di pace, ma Amadei la racconta come una casualita’, con lo stesso spirito con cui si sarebbe potuta rappresentare una serata in discoteca funestata dall’incidente del sabato sera che cambia una vita ed e’ proprio il venire meno di questa idea accidentale che appesantisce la seconda parte.
Che non sia un film celebrativo e’ noto dall’uscita della pellicola al festival Venezia, non ci si aspetta pero’ di ridere cosi’ tanto in un film che ruota attorno a una tragedia, il cui aspetto drammatico e’ pero’ ben presente e si fa valere.
Ottima la prova di Vinicio Marchioni (Il Freddo di Romanzo criminale la serie) che sa passare dai panni algidi di uno dei capi della banda della Magliana al ritratto di un ragazzo spiritoso ed allegro messo a dura prova dal destino.
io l'ho trovato proprio un bel film, come ne ho scritto da me: bello tosto, che colpisce forte lo spettatore (ho apprezzato molto tutta la sequenza in soggettiva dell'attentato) e con un grandissimo interprete principale. Colpevolemente passato sotto silenzio, è un film di cui si è parlato poco, ma che ho apprezzato molto!
Scritto da: Monsier Verdoux | 15 dicembre 2010 a 16:30