Marino Pacileo, detto Gorbaciof per la voglia che ha sulla fronte, e’ un contabile del carcere di Poggioreale che si gioca gran parte dei soldi che maneggia, riuscendo sempre a tenersi fuori da storie piu’ grandi di lui, almeno fino a quando si innamora di Lila, la figlia del ristoratore cinese costretto ad ospitare nel suo locale il tavolo del poker di cui Gorbaciof e' assiduo.
Che le conseguenze dell’amore fossero estremamente deleterie per chi vive ai margini, lo avevamo imparato sempre da Toni Servillo nell’omonimo capolavoro di Paolo Sorrentino; in quest'ultima fatica del regista Stefano Incerti, a pagare lo scotto della passione e' un simpatico gaglioffo pronto a giocarsi il tutto per tutto con il destino. Che l’esito di questa scommessa con la vita non sara’ felice e’ preannunciato dalle anticipazioni legate agli animali: la tigre in gabbia allo zoo, le bestiole rinchiuse nel negozio di animali, il destino infausto del protagonista di un documentario naturalista che passa alla tv mentre la bella Lila si affaccia nella stanza per dire silenziosamente addio al padre. Tutti segnali dell'impossibilita' di sfuggire alle gabbie in cui la vita ci costringe. Purtroppo il regista regala a Gorbaciof la sorte piu’ stupida che il fato poteva destinargli in un finale citazionista che lascia una punta di delusione: personalmente avrei preferito che il destino del protagonista si compisse nella scena precedente.
Di veramente rimarchevole in questa pellicola resta la prova di Toni Servillo: Gorbaciof pronuncera’ al massimo dieci battute in tutto il film, l’intera costruzione del personaggio e’ affidata alla mimica facciale e corporea, a partire dalla camminata da guappo e dal vestito troppo attillato. Un lavoro immane sul corpo a cui ci aveva abituato solo la comicita’ di Antonio Albanese.
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