Gianni Dubois e’ un regista in crisi che viene costretto con il ricatto dalla giunta di un paesino toscano a dirigere la Sacra Rappresentazione della Passione del Venerdi’ Santo..
L’ultima fatica di Mazzacurati e’ solo parzialmente riuscita con un finale che non riesca a mantenere le promesse.
La prima parte e’ decisamente divertente per la critica della provincia con la messa alla berlina di un’insolita Toscana, quella del cosiddetto Chiantishire, abitata da stranieri (l’affittacamere tedesca) e meta di vacanze per gli intellettuali di sinistra (appunto il regista costretto a cedere all’assurdo ricatto per non sputtanarsi) dove vince il referendum contro l’inquinamento elettromagnetico con conseguente mancanza di copertura per la telefonia cellulare.
Il finale invece non e’ all’altezza di quanto promesso: la rappresentazione ha un esito disastroso ma nonostante questo (o forse proprio per questo) la funzione salvifica dell’arte viene esaltata con riferimenti anche pasoliniani, impossibile non pensare a La ricotta quando i due ladroni vengono issati sulla croce al tramonto per andare in scena a notte inoltrata. A commuovere e’ "la passione" (intesa come vicenda personale) del coprotagonista Ramiro che sacrifica la sua stessa vita e le proprie paure per il buon esito dello spettacolo, un po’ meno il solito finale aperto che riguarda il regista forse pronto per una nuova storia, sia d’amore che cinematografica.
Nonostante le aspettative deluse, La passione resta comunque un film divertente, dove si ride molto e in maniera intelligente interpretato da un ottimo cast che da solo vale il prezzo del biglietto.
Mazzacurati non mi è mai piaciuto, stavolta pur essendo meno deprimente del solito, è egualmente slegato, non si sa dove voglia andare a parare, è pieno di luoghi comuni del brutto cinema italiano degli anni 90 come il regista in crisi di idee. Non basta qualche ammiccamento ai cinefili ( le citazioni, dai Cohen a Kiarostami) per risollevare un semidisatro
Scritto da: alp | 04 ottobre 2010 a 21:43