C’e’ grande fermento tra i giocattoli di Andy: il ragazzo ormai diciassettenne sta per partire per il college e i suoi vecchi balocchi non sanno se li aspetta una serena vecchiaia in soffitta o un crudele destino nella spazzatura. Una svista materna porta Buzz&Co in un asilo, apparentemente il luogo ideale per dei giocattoli ma che si rivela molto sinistro...
Il team di John Lasseter guida una cavalcata attraverso i generi, dall’Hellzapoppin' iniziale, ricordo dei bei tempi felici dei fantasiosi giochi infantili, alla riscoperta del lato oscuro del giocattolo nel segmento claustrofobico ed orwelliano dell’asilo per concludere con un finale dolcemente malinconico che segna il passaggio dall’infanzia all’eta’ adulta.
Non manca in questa dinamica vicenda un risvolto sociale: l’ansia dei giocattoli incerti sul loro destino e’ molto simile a quella di tanti lavoratori che non hanno certezze sul loro futuro lavorativo, saranno dismessi insieme all’azienda o riusciranno ad arrivare all’agognata pensione che per i giocattoli equivale a un tranquillo futuro in soffitta davanti alla vecchia televisione?
La critica sul mondo del lavoro continua anche all’interno dell’asilo: guidati dall’orso Lotso, i giocattoli piu’ anziani non vogliono rinunciare al loro status per far posto ai nuovi arrivati a cui tocca un destino infame. Situazione che rispecchia molti casi di sfruttamento/mobbing all’interno delle aziende dove l’unita’ dei lavoratori e’ andata a farsi friggere per lasciare il posto a realta’ discriminati verso i nuovi (vogliamo scrivere stranieri?).
Poco prima che il film uscisse in Italia e’ giunta l’eco di una protesta tutta americana contro il film, in particolare contro i nuovi personaggi di Barbie e Ken, accusati di sessimo e omofobia, al solito chi parte con queste crociate non sembra aver visto il film, Barbie sa ribellarsi al bel mondo fatto di vestiti offertole da Ken e oltre all’azione spiazza tutti con una dottissima citazione sulla democrazia. Per quel che riguarda Ken il discorso e’ piu’ complesso anche se non reggono le accuse di omofobia, essendo Ken il classico esempio di metrosexual. Ken e’oggettivamente un personaggio molto scomodo, per le bambine e’ solo un accessorio di Barbie e penso che molte madri sarebbero turbate se i loro figli maschi sviluppassero un eccessivo attaccamento per un giocattolo che offre solo un bel guardaroba invece che stimolare l’aggressivita’ dei tipici giochi maschili.
Passando alla tecnica, Toy story 3 fa un utilizzo molto maturo della tecnica 3D, niente oggetti che sembrano schizzare addosso lo spettatore, effetto sorpresa ormai abusato. La stereoscopia 3D viene usata per dare maggiore profondita’ di campo e rilievo agli oggetti, se pero’ gli occhialini 3D causano fastidio tanto vale cercare una sala che proietti il film nel formato normale.
Per quanto concerne il doppiaggio italiano, il risultato e’ discreto inficiato solo dalle voci troppo riconoscibili e decisamente mediocri nell’interpetazione di Gerry Scotti e Giorgio Faletti, per fortuna i personaggi a cui danno la voce hanno poche battute.
Come da abitune il film e’ preceduto dal corto Quando il giorno incontra la notte (day & night) sfoggio di creativita’ minimalista che mi ha ricordato molto, anche nel profilo nasuto dei due personaggi, la nostra cara vecchia Linea.
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