Lemme lemme arrivo anche io a dire la mia sul finale di Lost di cui non sono mai stata un’ammiratrice fervente ma comunque me lo son sciroppata tutto, anche con un certo piacere.
Io non liquiderei la questione con quel “son tutti morti” che e' dilagato nei dibattiti (pure su rainews24!) seguiti alla messa in onda dell'ultima puntata in contemporanea con gli States. Per come ho interpretato io il dialogo tra Jack Shepard e il padre, momento topico che e’ un po’ lo spiegone definitivo della serie, tutto ruota intorno alla morte di Jack che in questa sorta di anticamera di Paradiso ritrova tutte le persone che sono state importanti nella sua vita e con le quali si appresta ad attraversare la luce. Gli altri sono morti chi prima di lui, chi molto tempo dopo. Mentre proseguivano gli abbracci eccessivamente sdolcinati per la mia misantropia galoppante, Jack muore sull’isola in una scena che riprende, se non ricordo male, quella di apertura della serie. Forse non troppo soddisfacente per i fan piu’ accaniti ma era davvero difficile trovare una conclusione che sciogliesse tutti i misteri dell’isola. Per me il senso logico della trama e’ passata in secondo piano, soprattutto nelle ultime due stagioni e ho trovato una grande fascinazione nell’aspetto “cubista” del plot, quel mostrare esistenze parallele dello stesso personaggio come Picasso dipingeva sulla tela parti del soggetto che non potevano coesistere nella medesima prospettiva spaziotemporale. Azzardo artistico del 1907 (Les demoiselles d'Avignon) che trovava conferma nella teoria della relativita’ che Einstein elaborava nello stesso anno. Cento anni dopo tra il 2005 e il 2010, una serie televisiva porta sul piccolo schermo lo stesso spirito. Ecco questo e’ il modo con cui chiudo i miei conti con Lost, non male per una che era partita in maniera cosi’ disfattista (sbagliando ovviamente!)
Il finale (fortunatamente solo di stagione) che invece mi ha toccato il cuore e’ stato quello di Dexter. Impossibile restare indifferenti a quell’ultimo colpo di scena che riapre tutte le ferite del nostro serial killer preferito. Confesso di aver fatto molta fatica a togliermi dalla mente la scena di Rita nella vasca, personaggio che tra l’altro non ha mai goduto della mia simpatia, non tanto per l’impressione ma proprio per la commozione inaspettata.
Ho rivisto la puntata, e non mi capita mai con i serial, per vedere se a posteriori il dialogo tra Dexter e Arthur Mitchell rivelasse qualcosa di quanto fosse in serbo per il protagonista e invece mi sono trovata a riflettere sulla perfetta costruzione psicanalitica del serial, ad esempio la ricerca di Debra sulla vita sentimentale del padre era stata messa in moto da una frase sfuggita a Dexter. In questa quarta serie si tirano tutte le fila e si potrebbe considerare virtualmente chiusa tutta la vicenda di Dexter. Dopo essersi confrontato con la figura del fratello nella prima stagione poi dell’amante nella seconda, dell’amico nella terza (la piu’ debole) e aver lottato contro il proprio doppio in questa meravigliosa quarta stagione, presumo che Dexter dovra' lottare con la figura paterna essendo a sua volta padre arrivando cosi' a uno scontro diretto con il suo creatore e il suo codice.
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