Ezio decide di improvvisarsi autore e inizia a scrivere una sceneggiatura riguardante due famiglie milanesi molto diverse tra loro, una alto borghese l’altra dalle reminiscenze hippy, costrette ad incontrarsi perche’ i figli sedicenni, appena messisi insieme, hanno deciso di sposarsi..
Debbo ammettere che il trailer del film non mi aveva convinto molto, invece dopo pochi minuti dall’inzio della proiezione mi si e’ stampato in faccia un sorriso soddisfatto che durato quanto la pellicola, tanto mi son fatta ammaliare dalla leggerezza dell’ultimo lavoro di Salvatores. Forse a causa della sua parentesi noir avevo dimenticato la sua capacita’ di sorridere su temi importanti: in questo caso, come proclama Ezio in un monologo, l’attenzione del film e’ sulla paura. Tutti i protagonisti, autore in primis, sono spaventati da qualcosa, timori gravi oppure paure minime.
Piu’ di questo sottotesto che regge una trama sinceramente esilina, quello che colpisce della pellicola e’ la riflessione sulla creativita’. Andando oltre all’ovvio rapporto autore-personaggi pirandelliano, e’ proprio l’esilita’ della trama che sottolinea la valenza autoriale. In fondo il tema della famiglia e’ connaturato al cinema italiano e questa vicenda di famiglie allargate e un po’ strambe e' caratteristica del nostro tempo e la stessa trama avrebbe potuto avere tagli diversi a seconda della volonta’ autoriale: si poteva mettere l’accento sulla vicenda di Marta e Filippo, i due adolescenti desiderosi di convolare a nozze creando un film giovanilistico alla Moccia; mettendo in primo piano la vicenda dei due trentenni avremmo avuto una commedia romantica mentre l’accento sull’amicizia tra Vincenzo e il papa’ di Marta avrebbe creato un film melanconico.
Il potere e’ nelle mani dell’autore che deve decidere quale piano prediligere. Un gioco di finzione sottolineato dalla inquadratura iniziale attraverso il modellino del teatro (ma che e’ un modellino ce ne accorgiamo al secondo sguardo, quando cambia la messa a fuoco) chiaro omaggio alla sceneggiatura teatrale di Alessandro Genovesi che sta alla base del film di Salvatores. Ci pensa poi la magnifica fotografia di Italo Petriccione a sottolineare che siamo in un mondo di finzione: Milano cosi’ bella e luminosa chi l’ha mai vista? Se poi non vi siete commossi sull’inserto in bianco e nero che accompagnava il concerto di Chopin.. beh allora siete senza cuore, ecco!
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