L’ascesa dell’imprenditore Luciano Baietti e’ iniziata una quindicina di anni fa, il giorno in cui ha impalmato in chiesa la madre dei suoi due figli e subito dopo l’ha abbandonata fuggendo con gli appartamenti della donna che si era appena fatto intestare.
Oggi la Baietti Enterprise e’ la classica holding fatta a scatole cinesi per frodare il fisco che va avanti a bustarelle e raccomandazioni ma la bancarotta e’ dietro l’angolo e la magistratura e’ sulle tracce dell’imprenditore che per sfuggire al suo destino decide di rifarsi vivo con la famiglia che non sente da anni con la scusa di invitare il figlio piu’ piccolo al suo imminente secondo matrimonio ma in realta’ per intestare tutto al giovane Guidobaldo detto Baldo e lasciare lui nei guai..
Spaccato puntuale di un’Italia maneggiona e spudorata che farebbe meno fatica a lavorare seriamente che a costruire equilibri sempre piu’ fragili e indegni per sfuggire alle magagne precedenti. Le scene inziali dei consigli d’amministrazione disperati per cercare una via di uscita all’imminente catastrofe sono ansiogene e claustrofobiche. Il sottofinale amaro con l’addio tra Baietti e il suo consigliere Bollino, un perfido Luca Zingaretti, ha un tono malinconico e amaro che sembra mettere un punto a quarant’anni di commedia all’italiana: ecco la fine ingloriosa e patetica dei vari furbetti che il cinema italiano ci ha raccontato dai tempi de Il sorpasso.
Non meno inquietante e’ la figura di Fiamma, la moglie abbandonata e derubata dall’infingardo Baietti (che non per nulla la chiama la scemina): tra crisi isteriche e calma da psicofarmaci la sua ossessione amorosa per l’ex marito mette i brividi quanto la mancanza di scrupoli di lui.
L’unico candido e’ il figlio piu’ piccolo: Baldo che ama disperatamente i suoi genitori e si illude che possano tornare insieme. Ma anche attraverso questa figura di ingenuo dal cuore d’oro, non nuova nella filmografia di Avati, il maestro bolognese si permette di tirare qualche frecciatina al mondo del cinema, descrivendo uno studente del Dams sfigatissimo e con la (ormai) banalissima idea di girare un suo film tarantinesco.
Lo sguardo di Avati sui suoi personaggi, anche i piu’ meschini e’ sempre bonario quasi conciliante, non c’e’ l’intento di stigmatizzare i costumi, anche se la pellicola ha un’aderenza spaventosa con la realta’ odierna. Avati mantiene sempre quell’occhio disincantato e ironico tipico di un certo mondo di provincia che e’ la sua cifra stilistica e che puo’ deludere lo spettatore in cerca di una morale o di un messaggio piu’ forte.
Un film molto bello !
Grandi tutti gli attori.
Ciao
Scritto da: roy | 05 marzo 2010 a 08:21
come sempre non avrei saputo descriverlo meglio!
Scritto da: monica | 08 marzo 2010 a 10:35