Alice Kingsleigh e’ una ragazza diciannovenne decisamente troppo emancipata per l’epoca vittoriana: il giorno in cui il giovane lord Ascot la chiede in moglie, la ragazza decide di seguire un bianconiglio con l’orologio e si rituffa nell’avventure della sua infanzia che credeva essere solo un sogno...
Tim Burton rilegge i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie secondo la sua poetica: sono tutti freak con un lato oscuro ed anche i personaggi piu' perfidi hanno un risvolto umano. Cosi’ non si puo’ non provare simpatia per la macrocefala Regina Rossa la cui crudelta’ nasce dal senso d’inferiorita’ verso la bellissima sorella, la leziosissima Regina Bianca. Anche nei nomi, Iracebeth e Mirana, la lotta tra le due sorelle regine richiama lo scontro tra Elisabetta I e Maria di Scozia, si intravede anche il quadro di un antenato ispirato al notissimo ritratto di Enrico VIII. Burton omaggia nella sua Regina Rossa Bette Davis, che vesti’ per ben due volte i panni dell’augusta sovrana ne Il conte di Essex e ne Il favorito della grande regina, fim che narrano i tormentati amori di Elisabetta con i suoi sottoposti, ripresi dalla passione che Iracebeth nutre per Stayne, il Fante di Cuori. E in fondo anche Anne Hathaway interpreta una regina Bianca che potrebbe ricordare la Maria Stuarda di Katherine Hepburn, esasperando le movenze che per un certo periodo fecero della Hepburn il veleno dei botteghini.
Johnny Depp, nei panni del Cappellaio Matto dimostra per l’ennesima volta la qualita’ della sua collaborazione con Tim Burton dando alla follia del cappellaio una vena drammatica perche’ la sua pazzia e' frutto del dolore provocato dalla guerra e dalla distruzione.
Purtroppo la seconda parte del film trasforma il possibile ennesimo capolavoro in un‘opera minore. Man mano che la vicenda procede ci si discosta dalle peculiarita’ visive burtoniane, ad esempio mancano i suoi vertiginosi dolly verticali o a volo d’uccello, per sostituirle con un immaginario fantasy di mostri e scontri con armi magiche che hanno il sapore gia’ visto de Il signore degli anelli o Le cronache di Narnia e addirittura un retrogusto alla Harry Potter. Anche il finale cosi’ accomodante e la morale dell’essere quel che si e’, molto disneyana, tradiscono la teoretica burtoniana per sconfinare nel prodotto mainstream piu’ attuale testimoniato anche dalla canzone di Avril Lavigne piazzata in malo modo sui titoli di coda ad interrompere le musiche stranianti del fidato Danny Elfmann.
Andrebbe indagato se queste pecche nascono da pressioni della casa di produzione, in ogni caso possiamo accontentarci di quel che resta comunque un ottimo film firmato Tim Burton.
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