Sul finire degli anni ‘80 un’astronave aliena si blocca sui cieli di Johannesburg; l’ingresso forzato dell’esercito terrestre trova all’interno della navicella una colonia di alieni in pessime condizioni fisiche. Gli extraterrestri vengono confinati in una baraccopoli, il Distretto 9.
20 anni dopo una societa’ paramilitare sgombera il distretto per portare gli alieni in una nuova struttura di accoglienza coatta, ma uno dei dirigenti delle operazioni subisce un contagio che ne muta la struttura genetica trasformandolo progressivamente in un alieno, l’uomo diventa materia di studio per la sua stessa organizzazione: finalmente si potranno utilizzare le armi degli extraterrestri che solo la loro struttura molecolare puo’ azionare..
Con il placet del mentore Peter Jackson, qui in veste di produttore, il giovane regista sudafricano Neill Blomkamp debutta nel lungometraggio ampliando le tematiche di un suo precedente corto, Alive in Joburg, in un mockumentary, genere frequentato anche da Jackson agli esordi con Forgotten silver, del 1995, il film dell’autore neozelandese che continua ad essermi piu’ caro. E del resto dai tempi di Omero in poi cosa c’e’ di piu’ mitico e al contempo credibile di un racconto ascoltato o di un manoscritto ritrovato? Oggi potremmo fidarci di qualcuno che ci parla in video senza che la sua qualifica sia scritta in sovrimpressione?
Ispirandosi alla cinematografia sci-fi dell’ultimo quarto di secolo, Blomkamp crea una delle opere di fantascenza con piu’ spessore filosofico dall’avvento di Star Wars saga che tra le sue tante virtu’, ha pero’ il demerito d avere reso piu’ superficiale il genere.
Il ribaltamento della figura dell’alieno da aggressore ad ospite indesiderato sul suolo terrestre diventa l’occasione di riflettere sulla nostra attuale situazione geopolitica che vede l’emigrante come elemento sgradito alle grandi potenze dell’Occidente, e relegato in squallidi centri di accoglienza, se non respinto, dalle sponde del Mediterraneo al muro che segna il confine USa-Messico. Riflessione che si fa piu’ dolente per la mia generazione che sul finire degli anni ‘80 guardava la speranza crescere con le canzoni dedicate a Mandela e quando Soweto, Sun City erano parole conosciute.
L’occhio apparentemente lontano di Blomkamp, ma in realta’ ben conscio della situazione essendo cresciuto nel Sudafrica dell’apartheid, da’ molto spessore alla vicenda, raccontando anche il rovescio della medaglia, l’abbrutimento degli emigrati: i gamberoni extraterrestri hanno perso tutte le loro conoscenze (vogliamo svelare la metafora e chiamarle tradizioni?) e si limitano ad alienarsi con le scatolette del cibo per gatti, solo pochissimi individui ricordano come funzionano le loro macchine e hanno la pazienza ventennale di aggiustarle.
Senza pieta’ lo sguardo sui terrestri abbrutiti quanto gli alieni, ma dal denaro e dal potere. Una societa’ parafascista di cui Wikus Van de Merwe (non so perche’ ma mi suona come la perfetta versione boera di Ugo Fantozzi) e’ un perfetto ingranaggio e fino all’ultimo, fino a quando il DNA alieno non prevarra’ su quello umano, le sue azioni saranno mosse solo dall’interesse personale e dall’egoismo.
Merita attenzione l’abilita’ di nell’uso degli effetti speciali: il regista e’ famoso per il celebre spot della Citroen in cui l’auto si trasforma in un robot ballerino e ancora una volta ci stupisce con la sua abilita’ di rendere credibili non tanto robot o alieni, ma di integrare perfettamente gli effetti speciali nella scena tanto di dare a tutti gli elementi, reali e digitali, la stessa credibilita’.
Bello l' accostamento a Fantozzi...:-)
Scritto da: roy | 15 ottobre 2009 a 18:57