C’e’ un cambio di registro rispetto alla prima parte e l’attenzione si concentra sulla megalomania che Mesrine, ormai sicuro del proprio “successo” come bandito: rapine di banca a volto scoperto, fughe rocambolesche dalle prigioni, sfrontate arringhe in tribunale fanno di Mesrine una simpatica canaglia abile nel sfruttare la propria fama mediatica per mettere in ombra gli aspetti piu’ orridi del suo carattere, anzi, l'uomo e' ossessionato dalla propria immagine mediatica, dato che si mette a scrivere le sue strampalate memorie solo perche’ la stampa da piu’ rilievo al golpe cileno che al suo arresto.
Personalmente non ho apprezzato questa scelta del regista: avendo molto amato L’istinto di morte e avendo aspettato cosi’ a lungo per vedere la seconda parte, data la distribuzione lacunosa che L’ora della fuga ha incontrato in Italia, mi ero creata delle grosse aspettative (ad esempio la liberazione di Jeanne, la compagna di Mesrine nel primo episodio) deluse da questo nuovo tono meno incentrato sull’azione e piu’ confuso per rappresentare l’estro folle del protagonista.
Scevra dal subire il fascino guascone di Mesrine, ho poco apprezzato anche il lungo segmento dedicato all’inseguimento che porta alla morte di Mesrine, certamente piu' che valido da un punto di vista stilistico, ma ormai il protagonista mi era troppo antipatico per apprezzare le sfumature cristologiche del finale, vedi locandina.
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