Quel “miracolo” nel titolo dell’ultima fatica di Spike Lee ricorda film come Miracolo nella 34° strada o Il miracolo delle campane, pellicole dove l’elemento strappalacrime e fantastico veste un ruolo fondamentale e Spike Lee sembra far rivivere reminiscenze di quel genere filmico nel personaggio di Angelo Toracelli, il bambino salvato dall’amico immaginario (in realta’ l’amico non sopravvissuto all’eccidio di Sant’Anna) facendolo ricomparire come deus ex machina alla fine del film.
Purtroppo questo cote’ favolistico poco si sposa con l’episodio di cruda guerra che Lee vuole raccontarci, inserendo per la prima volta il tema a lui caro dell’integrazione razziale dei neri americani nel piu’ ampio affresco della seconda guerra mondiale, dove i sentimenti di odio ed incomprensione si esasperano anche tra persone dello stesso gruppo sociale (pero’ c’e’ anche un tedesco buono, anzi due).
Quello che credo sia alla base del parziale fallimento in un’opera cosi’ ambiziosa e’ dunque la mancanza di un registro univoco: questo continuo saltare dal lacrimevole al grottesco (le comari del paesino, tra i cui abitanti si salva solo la caratterizzazione fiera di Omero Antonutti) penalizza l’intera opera.
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