Italia 1956 Titanus
con Gianna Maria Canale, Paul Müller, Carlo D'Angelo, Dario Michaelis, Wandisa Guida, Angiolo Galassi
regia di Riccardo Freda


Il primo horror italiano e’ uno stranissimo oggetto filmico, ammantato di leggenda cinefila: nato da una scommessa, girato in circa due settimane con un lieto fine voluto dalla produzione.
La storia resta comunque arzigogolata e prevedibile, ispirata alla leggenda della crudele Erzsebet Bathory.
Quello che lascia perplessi e affascinati e’ la strana commistione delle ambientazioni: gli esterni di una Parigi contemporanea alle riprese, filmata con le luci naturali degne di un film della nouvelle vague, cozzano con la ricostruzione del malefico castello dei du Grand dove si assembla tutto il ciarpame della tradizione horror: sotterranei con grate e ragnatele secolari, teschi e scheletri in bella vista, laboratori di scienziati pazzi ecc..
La cosa sconvolgente e’ che questo non e’ il lato nascosto del castello ma la bella Giselle sostiene un interrogatorio dove riesce a convincere la polizia della sua innocenza mentre alle sue spalle svolazzano tende bianche logore, sfilacciate e tarmate.
A dirigere la fotografia del film c’e’ Mario Bava che completa l’atmosfera del castello con lunghe, lugubri ombre di gusto espressionista e poi compie la magia di invecchiare a vista il volto di Gianna Maria Canale.
con Gianna Maria Canale, Paul Müller, Carlo D'Angelo, Dario Michaelis, Wandisa Guida, Angiolo Galassi
regia di Riccardo Freda
Parigi: la Senna restituisce i cadaveri di quattro fanciulle morte per dissanguamento e poi gettate nel fiume. Il giornalista Pierre Lantin si appassiona al caso soprannominando l’assassino “il vampiro”. Intanto il giornalista e’ oggetto delle attenzioni della bellissima baronessa Giselle du Grand, che pare rivivere il morboso amore che la vecchia zia nutriva per il padre di Pierre.
Il primo horror italiano e’ uno stranissimo oggetto filmico, ammantato di leggenda cinefila: nato da una scommessa, girato in circa due settimane con un lieto fine voluto dalla produzione.
La storia resta comunque arzigogolata e prevedibile, ispirata alla leggenda della crudele Erzsebet Bathory.
Quello che lascia perplessi e affascinati e’ la strana commistione delle ambientazioni: gli esterni di una Parigi contemporanea alle riprese, filmata con le luci naturali degne di un film della nouvelle vague, cozzano con la ricostruzione del malefico castello dei du Grand dove si assembla tutto il ciarpame della tradizione horror: sotterranei con grate e ragnatele secolari, teschi e scheletri in bella vista, laboratori di scienziati pazzi ecc..
La cosa sconvolgente e’ che questo non e’ il lato nascosto del castello ma la bella Giselle sostiene un interrogatorio dove riesce a convincere la polizia della sua innocenza mentre alle sue spalle svolazzano tende bianche logore, sfilacciate e tarmate.
A dirigere la fotografia del film c’e’ Mario Bava che completa l’atmosfera del castello con lunghe, lugubri ombre di gusto espressionista e poi compie la magia di invecchiare a vista il volto di Gianna Maria Canale.
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