Non sono mai stata una grandissima fan di Indiana Jones, probabilmente tutto dipende dal fatto che il primo episodio non lo vidi al cinema ma mi fu raccontato in maniera piu’ che dettagliata da una compagna di scuola alla stazione delle corriere. Quando vidi il film rimasi completamente delusa dal finale: richiudere l’Arca della Santa Alleanza in un deposito militare mi sembra una trovata pessima ancora oggi. Ho apprezzato il terzo capitolo che doveva essere chiusa e santificazione del personaggio svelandone i segreti, il perche’ del soprannome e la paura dei serpenti. Non mi aspettavo quindi nulla da questo quarto capitolo che sulla carta non aveva nulla da aggiungere alla definizione dell’eroe e Harrison Ford mi pareva decisamente anzianotto per un ruolo d’azione.
Il film effettivamente non aggiunge nulla; e’ un’autocelebrazione della saga (l’arca perduta ricompare per un momento da una cassa rotta nel famigerato deposito militare) il che e’ anche giusto dato che questo episodio e’ stato richiesto a furor di popolo, ma Harrison Ford si rivela all’altezza del suo personaggio, neppure lui piu’ giovanissimo che infatti pare mettere definitivamente la testa a posto.
Spielberg e Lucas colgono l’occasione per ripensare tutto il loro mondo: ambientata nel 1957, la pellicola diventa la scusa per riportare sugli schermi il mito americano a cavallo degli
anni ‘50-’60 fatto di bravi ragazzi con il cardigan e teppistelli che imitano Il selvaggio di Brando, corse in auto, milkshake e risse tra Happy days e American Graffiti; ma il pessimismo che ha segnato l’ultima stagione di Lucas e Spielberg non si e’ ancora spento e il mondo dorato della gioventu’ e’ venato dall’ombra del maccartismo che incombe anche su Indy.
Dopo rocambolesche avventure nella foresta amazzonica, Indiana Jones, incontra gli alieni, suggellando il connubio con l’altra anima spielberghiana, la fantascienza ma ancora una volta dopo la Guerra dei Mondi, gli alieni non sono troppo buoni: forse E.T. e gli incontri ravvicinati sono perduti per sempre.
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