Comunque ho capito perche’ mi faccio fregare da biopic melensi come La via en rose e Carnera The walking mountain dai quali esco disgustata: sono attratta dalla curiosita’ di vedere una rappresentazione del mondo del cinema, ma se nella vita di Edith Piaf Yves Montand veniva nominato en passant, della attivita' cinematografica di Primo Carnera il biopic firmato Renzo Martinelli non fa nessuna menzione, al regista interessa solo mostrare un’orgogliosa agiografia del sentimento di sacrificio e sopportazione del migrante, dal film non sono riuscita a farmi un’idea sulla figura di Carnera, se fosse davvero uno sportivo o solo un fenomeno da baraccone, data la mole, messo sul ring per attirare il pubblico, ma potrebbe essere colpa mia: ero troppo sconvolta nel vedere Burt Young nei panni del secondo a bordo ring, esattamente come in Rocky e la sfacciataggine di mettere un personaggio cosi’ identificativo di una saga pugilistica (era lo zio Paulie) in un altro film di box continua a perplimermi alquanto.
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Discorso differente per Mongol, epica ricostruzione della prima parte della vita di Temudjin, divenuto Gengis Khan.
Ho scelto di vederlo per compensare il fatto di essermi persa la mostra Gengis Khan e il tesoro dei mongoli alla Casa dei Carresi di Treviso. Il film non spicca per fedeltà storica ma la storia è piacevole e poi i paesaggi della steppa sono impagabili.
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