Tim Burton inanella un altro capolavoro alla sua collezione e se la sua filmografia fosse una colonna pseudobarocca dei suoi cartoni, Sweeney Todd sarebbe un racemo a parte, per quel protagonista differente dalla galleria di personaggi a cui Burton ci ha abituati: Sweeney Todd infatti non e’ un diverso, un solitario non inserito nella societa’, per lo meno nella sua vita passata, Benjamin Barker e’ stato un barbiere di successo con una famiglia felice e un sereno futuro davanti a se’, quando torna a Londra dopo aver ingiustamente scontato la pena inflittagli dal crudele giudice Turpin e’ ormai preda del demone della vendetta, gli occhi fissi su un mondo lontano, quasi meccanico nelle sue uccisioni in serie.
Ho sentito parlare di nichilismo, di ingiustificato crescendo di violenza, ma penso che Sweeney Todd sia certamente una pagina piu’ amara e disillusa del solito nella filmografia del regista (ma come cantano i due protagonisti, lo richiedono i tempi che stiamo vivendo) ma non manca l’ironia e un romanticismo straziante in un film altamente morale che in guardia dall’accecamento della vendetta che porta a non riconoscere le proprie vittime: se non ha senso il bagno di sangue finale non hanno senso secoli di tragedie, dalla classica greca a Shakeaspere.
I rimandi letterari della pellicola sono tanti e Burton si diletta con quella letteratura ottocentesca che dara’ vita al romanzo d’appendice al feuilleton orrorifico rivangato al solo terribile nome di Bedlam: si parte dal (quasi) ovvio Conte di Montecristo per arrivare al Dickens di Oliver twist, dalle cui pagine sembra uscire il piccolo Toby o a I Miserabili di Hugo a cui mi ha fatto pensare la prima parte del film in cui entrano in scena tutti personaggi (mendicante compresa) che come nel piu’ classico romanzo d’appendice dovrebbero riunirsi felici e contenti alla fine delle traversie. La grandezza di Burton sta nella sua capacita’ di giocare con le aspettative del pubblico soprattutto la genialita’ con cui risolve la tensione della prima barba che Sweenie Todd offre al giudice: non bisogna essere spettatori troppo scafati per intuire che e’ ancora troppo presto per la resa dei conti eppure ci si lascia avvinghiare dall’attesa della rasoiata decisiva.
Un discorso a parte merita la comprimaria del film, la signora Lovett, contrappunto folle ed ironico (forse in questo piu’ simile ai tipici personaggi burtoniani) alla pazzia di Todd; nonostante la fine crudele che le viene riservata mi sembra che il regista nutra una maggior simpatia per lei che per il suo torvo protagonista ed infatti a lei riserva gli impossibili sogni di fuga dai colori sgargianti che stridono anche visivamente con i toni cupi della fumosa Londra ottocentesca.
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