Scende in campo un cavallo di razza del pensiero democratico americano, Robert Redford, per dire la sua sulla scottante questione della guerra irachena e afgana.
Non e’ male l’idea, molto dialettica, di mostrare punti di vista diversi: il giovane senatore rampante repubblicano, la scafata giornalista politica, il professore di college che vuole essere piu’ un maestro di vita che un semplice insegnante, lo studente bene (gia’) disilluso, i ragazzi dei ghetti che vedono nell’arruolamento l’unica via per il riscatto; purtroppo quello che manca al fim e’ l’anima, come se Redford non avesse potuto esimersi dal compitino sullo stato dell’unione: riconoscere le colpe e onorare gli eroi, ma il punto piu’ basso del film e’ proprio quello in cui i due giovani soldati si alzano in piedi per affrontare la morte sulle gelide montagne afgane. Molto piu' interessante la conversazione allievo insegnante da cui emerge come tra le tante colpe dell’America rispetto al conflitto odierno, una delle piu’ complesse sia quella di essere ossessionati dal Vietnam, non tanto come sconfitta militare ma come vittoria di impegno civile, pero’ non e’ piu’ il ‘68 e il nemico e’ ben altro.
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