Il cinema di Michael Moore e’ sempre controverso, considerato estremamente fazioso ma questa volta i dati da cui parte la sua indagine sono terribilmente oggettivi: che gli USA siano privi di una sanita’ pubblica e’ cosa risaputa, piu’ sconvolgente scoprire che nella nazione considerata la prima potenza mondiale la mortalita’ infantile sia piu’ alta che in nazioni considerate terzo mondiste. Ammettendo pure che i casi di mala assicurazione sanitaria raccontati dal film siano episodi piu’ o meno isolati, pecche macroscopiche che si possono trovare anche nel miglior sistema sanitario del mondo, questo e’ relativo perche’ partendo da un’opera di denucia il lavoro di Moore si trasforma nel confronto tra modi opposti di concepire la sanita’: per quanto il regista sia come sempre accanito contro i repubblicani, traspare tra le maglie dell’ironia anche la sua difficolta’ di americano di accettare un sistema sanitario impostato su presupposti del tutto diversi.
La fine del film con il viaggio della speranza prima verso Guantanamo poi a Cuba ha momenti veramente toccanti e ben vengano faziosi come Michael Moore che gridano che il re e’ nudo e svelano che il peggiore nemico di sempre, Cuba e’ in grado di accogliere e onorare gli eroi dell’undici settembre: credo che siano piu’ utili quelle immagini che la diplomazia per riavvicinare due popoli.
Una cosa che non mi e’ proprio piaciuta nel film c’e’: quando Moore narra di aver pagato le cure mediche per la moglie del suo piu’ accanito detrattore: mi auguro sinceramente che il personaggio in questione fosse stato avvisato e avesse approvato quello spezzone di pellicola, in ogni caso l’uso strumentale che Moore ne ha fatto cancella gran parte del valore umanitario del gesto compiuto.
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