La foto della bandiera americana piantata sul monte Suribachi diventa in pochi giorni l’emblema della battaglia di Iwo Jima, fondamentale per il dominio sul Pacifico.
Dei sei ragazzi che innalzarono il pennone solo tre sopravvivono alla battaglia e tornano in patria osannati come eroi ma la battaglia piu’ dura deve ancora cominciare: una tourne’ per gli States per raccogliere i fondi necessari per continuare la guerra, raccontando una verita’ manipolata..
In questo film non c’e’ il trasporto di Million Dollar Baby, la passione dettata dalla partecipazione totale, ma una freddezza (se cosi’ posso chiamarla) che nasce dal reiterato disgusto per una cosa orribile come la guerra.
Gli orrori della guerra sono inenarrabili, per questo motivo non sapremo ne’ vedremo mai la sorte toccata a "Iggy" Ignatowski, portandoci a casa l’angoscia impalpabile del’ignoto.
Piu’ ancora che contro la guerra, Eastwood punta il dito contro i politicanti, i venditori di fumo che alterano la verita’ a loro piacimento per trasformarla in una macchina da soldi, per produrre altro denaro che mantenga il meccanismo infernale della guerra, cosi’ la storia di Iwo Jima e’ svenduta e modificata: le bandiere piantate sul cocuzzolo furono due, la prima piu’ piccola fu tirata giu’ perche’ un ufficiale la voleva per la gloria del suo reggimento, cosi’ il secondo plotone salito sulla vetta ne pianta un’altra, quella immortalata dal celebre scatto di Joe Rosenthal; quando la foto diventa un simbolo di speranza per la nazione americana, ormai stanca e scoraggiata dalla guerra, si crea la necessita’ di dare un volto a quegli anonimi eroi fotografati in controluce: la fretta, i ricordi confusi, la voglia di condividere la gloria con i propri amici fa si’ che si confondano i protagonisti della prima posa con i secondi, ma ormai la macchina dei media si e’ messa in moto e i ragazzi sopravvissuti non potranno esimersi dal continuare a rivivere quel giorno scalando montagnole di cartapesta o mangiando dolci che riproducono la celebre foto irrorata da una crema di fragole troppo simile al sangue che non riescono a togliersi dalla mente: una pressione insostenibile, soprattutto per Ira Hayes, il nativo americano che a un certo punto abbandona il tour e preferisce tornare sul campo di battaglia.
Eastwood segue la vita dei tre protagonisti anche dopo la fine della guerra raccontando brevemente le loro vite, la difficolta’ che ebbero (per chi ci riusci’) nel convivere con quei ricordi orribili e il senso di colpa di essere sopravvissuti usurpando la fama di eroi, per un giorno almeno, perche’ i media dimenticano in fretta.
Come e’ risaputo, questo e’ solo il primo film che Clint Eastwood dedica alla battaglia di Iwo Jima, il secondo Letters from Iwo Jima raccontera’ l’episodio bellico secondo il punto di vista giapponese, volendo si potrebbe dire che i film sono tre perche’ i bellissimi titoli di coda composti da fotografie originali dei reali protagonisti di questa storia e da immagini della battaglia sono quasi un piccolo ma fondamentale documentario storico, assolutamente da non perdere.
Ecco, come citavi, un'altra dele cose che m'era garbata particolarmente del film: la sorte di Iggy.
Però che posso dire, come ho già scritto altrove, sì sono d'accordo che quello sia il tema del film... ma non mi piace molto come ne è venuto fuori. Non riesco a liberarmi di questo spettro della retorica dell'antiretorica...
Scritto da: Noodles | 22 novembre 2006 a 20:55
Bellissimo questo film, non ai livelli dei precedenti però. Ma la cosa che comunque stupisce è che in mezzo a tanti orpelli, ad una freddezza disarmante, il racconto umano abbia la prevalenza su tutto appena iniziano a scorrere i titoli di coda
Scritto da: tiziano | 23 novembre 2006 a 10:17
molto bello quello che hai scritto anche se non sono per nulla d'accordo con te! ^_^
Non mi ha convinto, forse perchè non mi convince lui. Penso che alla base del suo cinema ci sia un grosso equivoco e che - per citarmi e citare noodles - sia proprio la retorica dell'antiretorica a segnare la cifra del film.
Eastwood rimane prigioniero delle cose che vorrebbe combattere, nel momento in cui critica la bandiera finisce per avvalorarne la potenza iconica.
Il film direi che esprime - non poteva essere diversamente - quel conservatorismo come filosofia politica della diffidenza verso l'Autorità.
A Eastwood non interessa tanto denunciare la guerra come orribile (quando mai è stata bella? per nessuno lo è, nemmeno per un Bush),quanto la sua diffidenza per il Potere, l'Autorità.
Lungi dall'allontanarsi da John Ford, Clint ci finisce per filmare la leggenda, per raccontarci il mito, per questo suona ambiguo e financo ricattatorio l'elenco fotografico a fine film. Di questa ambiguità soffre la sceneggiatura, in alcuni casi con dialoghi ai limiti della credibilità. E alla fine sono le scene belliche ad essere le più spettacolari, confermando che la guerra è un gran bel soggetto.
Siamo molto lontani da Full Metal Jacket, laddove il sottotesto del film non era "quanto è brutta la guerra" ma il dualismo dell'animo umano, il bene e il male che convivono e l'annullamento del bene dell'uomo per farne una figurina da cartone animato (La marcia di Topolino nel finale è agghiacciante). Un saluto.
Scritto da: hstruman | 23 novembre 2006 a 16:50
che non siamo ai livello degli ultimi due (capo)lavori e' indiscusso.
per quanto riguarda quel che sostieni tu, hstruman non credo che il perno del film sia la guerra in se' stessa, intesa come battaglie e scontri (quello che raccontava "salvate il soldato ryan" a cui questo film spesso e' accomunato, anche giustamente) e' quel che c'e' dietro la macchina organizzativa che non e' solo propria della guerra ma ormai di qualsiasi evento che viene macinato e trasformato in qualcosa che possa incanalre il sentire manipolato delle persone, secondo me Eastwood con questa storai vuole raccontare la america di questi anni, anche aldila' della guerra in Iraq, non e' solo un parallelo tra due guerre, quello che vuole fare. Ovviamente questo e' sempre solo il mio parere, poi se Clint non ti piace in generale (neppure Million dollar Baby o Un mondo perfetto?) non c'e' nulla da fare :-)
In ogni caso una domanda, che c'e' di sbagliato a diffidare del potere e dell'autorita'? non sarebbe peggio il contrario, la fiducia cieca nel potere ?
Scritto da: ava | 23 novembre 2006 a 17:18
E' piaciuto molto anche a me e non aspetto l' ora di vedere l' altro :-)
Scritto da: roy | 23 novembre 2006 a 17:25
è giusto quello che dici.
Però, a mio parere, proprio questo racconto della macchina organizzativa, del valore iconico della bandiera come catalizzatore di folle e di fondi e della forza della immagine (la foto vincente è quella falsa, naturalmente), segnano la vittoria della necessità del racconto di una leggenda (e non della semplice esposizione realtà, assai meno interessante).
Lungi dall'avere "raccontato una storia vera", il cinema ancora una volta rimane giustamente prigioniero della sua rappresentazione.
Vedremo credo la riprova nelle Lettere da Iwo Jima (film? documentario?) girato per il mercato home video e in giapponese sottotitolato.
Si vedrà allora se la commozione per chi stava dall'altra parte salirà come è salita per gli americani, o se nel primo caso la forza del cinema e quindi della sua grandiosa falsità, ha prevalso, mentre nel secondo abbiamo assistito ad un documentario forse un po' noioso.
Sulla diffidenza verso il potere non esprimevo una opinione di favore o contraria, mi limitavo ad enunciare quello che per me pensa lui. Solo per dire, incidentalmente, che Clint è un vecchio repubblicano, nonostante quello che si pensa in Italia di lui. A presto.
Scritto da: hstruman | 23 novembre 2006 a 17:55
hstruman, che Clint e' un vecchio repubblicano lo so, ma magari tutta la destra fosse cosi'!!! ;-)
Scritto da: ava | 24 novembre 2006 a 18:46