Italia, 1949
con Carlo Ninchi, Gianna Maria Canale
regia di Riccardo Freda
Ugolino della Gherardesca e’ tra le personalita’ piu’ potenti di Pisa: orgoglioso e sbruffone, ma anche fedele e generoso, arriva a liberare Fortebraccio, condannato alla morte per digiuno dopo esser stato murato nella Torre Civica, inimicandosi cosi’ tutto il Consiglio della citta’, convinta che Ugolino voglia prendere il potere. L’unico amico su cui puo’ contare, o almeno cosi’ crede il conte, e’ l’arcivescovo Ruggeri, che sara’ il vero artefice della sua rovina...
Il film si apre sull’illustrazione del Dore’ che rappresenta il fiero pasto da cui il conte alza la testa quando Dante lo incontra all’Inferno nel nono cerchio , quello dei traditori (XXXII canto).
Il film si svolge in maniera piuttosto didascalica con poche scene di cappa e spada che solitamente contraddistinguono l’opera di Freda, si preferisce seguire i maneggi dell‘arcivescovo Ruggeri interpretato (malissimo a mio parere) da Peter Trent.
Carlo Ninchi invece interpreta il Conte Ugolino in maniera molto sanguigna e la rilettura che la pellicola offre del presunto tradimento del Conte ha fruttato al regista il ringraziamento della famiglia Della Gherardesca per aver riabilitato l’avo; ricordiamo la presenza di Mario Monicelli tra gli sceneggiatori.
Di interessante c’e’ la ricostruzione d’epoca, molto realistica, senza scenografie di cartapesta; Freda cerca di sfruttare anche in maniera emotiva, quasi espressionista le ambientazioni con qualche inquadratura sghemba e giochi d’ombe che incombono sui personaggi. Portato a termine il suo piano, l’arcivescovo Ruggeri viene mostrato mentre accarezza un gatto che ha in grembo, classico simbolo di falsita’.
Il film merita la visione per la famosa ellissi finale: la trama presenta anche il personaggio di Emila, interpretato da Gianna Maria Canale, figlia prediletta del conte, innamorata del nipote di Ruggeri che Ugolino uccide perche’ il vero traditore di Pisa. La ragazza diventa complice inconsapevole dell’imprigionamento del padre e dei fratelli poi si reca Roma per ottenere giustizia dal Papa che le concede la liberazione dei familiari, tornata a Pisa ed entrata nella torre, la povera Emilia si guarda attorno con aria orripilata e scoppia in un grido terribile mentre sotto il suo fermoimmagine compare il celebre verso poscia, piu' che ‘l dolor, pote' ‘l digiuno. Una scena che puo’ considerarsi capostipite della nascente stagione dell' horror all’italiana.
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