Haiti, fine anni ‘70: mentre il paese e’ vittima degli orrori della dittatura, un albergo di lusso e’ un paradiso per agiate ed agee’ signore americane che possono contare sulla piacevole compagnia di aitanti giovanotti locali, ma il piu’ ricercato di tutti e’ il bellissimo Legba...
Forse troppa carne al fuoco per questo film che affronta un tema pruriginoso come quello del turismo sessuale femminile, raccontato attraverso le parole di queste donne che sfuggono alla noia, al perbenismo della civilta’ occidentale per concedersi una vacanza di pura evasione alla ricerca del piacere, dimenticando la bellezza che svanisce, la difficolta’ di instaurare un rapporto concreto con un uomo. Parole piene di un inconscio razzismo per cui i neri dell’America del Nord non verrebbero mai presi in considerazione, mentre in questi bellissimi giovani di colore, le signore trovano un qualcosa in piu’, che dovrebbe nascere dal rapporto con una natura incontaminata, completamente dimentiche del potere del denaro, anche quando giocano a fare le “donne moderne” che non si vergognano a pagare, come ostenta Ellen.
Con uno stile molto distaccato e quasi documentaristico il regista Laurent Cantet spalanca una finestra sulla psicologia di queste donne, facendole raccontare la loro storia mentre guardano direttamente in macchina, Charlotte Rampling (Ellen) ci regala col suo monologo un pezzo di bravura assoluta, quando, gli occhi persi nel vuoto, esprime il suo punto di vista, con parole che, senza volerlo, scoprono abissi di solitudine nella sua vita a Boston, forse lasciando intuire anche un passato violento.
Il film mostra dei cedimenti quando vuol illustrarci anche l’altro alto della medaglia, la vita degli haitiani e in particolare di Legba, la sua indifferente indolenza che lo fa amare da tutte le donne straniere, la sua vicenda sara’ molto drammatica ma i motivi resteranno imperscrutabili: se questo alone di mistero doveva squarciarsi improvvisamente sia per lo spettatore che per le sue clienti dell’albergo, allora alcuni episodi che lo riguardano andavano tagliati, altrimenti la sua figura andava approfondita, concedendo anche a lui, come ad Albert, il direttore dell’albergo, un monologo che raccontasse la sua vita e le sue scelte.
Sicuramente un'opera seria ed impegnata, lascia però interdetto lo spettatore che non sa bene come interpretarla. Il tutto reso più difficile dallo stile scelto da Cantet: asciutto ed essenziale al massimo (quasi asettico), senza nulla concedere al pubblico che si scopre osservare la vicenda con eccessiva freddezza. La “sobrietà” è una virtù del cinema francese… ma qui si tende ad esagerare.
Scritto da: leo | 25 giugno 2006 a 14:58
sottoscrivo in pieno, leo!
Scritto da: ava | 26 giugno 2006 a 12:25
legbà è un personaggio di cui le amanti inconsapevolmente negano la realtà, l assenza del suo monologo credo derivi da questo, ma visto che noi spettatori invece ne dovevamo sentire l umanità, l alterità rispetto alla proiezione vacue delle tre donne, ecco che a noi doveva dare qualche appiglio sul suo unico reale amore e sul motivo della sua morte. e poi non sarebbe stato patetico un monologo di legbà in cui spiega la sue ragioni alla prostituzione?
Scritto da: juliet | 02 settembre 2006 a 00:02
mah juliet.. patetico quanto delle signore mature che spiegano perche' pagano un uomo! Se raccontato con partecipazione nulla e' patetico.. in ogni caso non credo che il suo monologo avrebbe per forza dovuto vertere sulla prostituzione, cmq la tua osservazione sulla sua identita' negata in quanto oggetto sessuale e' molto acuta..
un saluto
Scritto da: ava | 02 settembre 2006 a 14:18