Dark Passage
USA 1947
regia di Delmer Daves,
con Humphrey Bogart; Lauren Bacall; Agnes Moorehead
Vincent Parry riesce a fuggire da San Quintino dove era stato incarcerato per un’ingiusta accusa di uxoricidio. Aiutato da Irene Jensen, Parry si sottopone ad una plastica facciale e con il nuovo volto va alla ricerca del vero assassino..
Film celeberrimo per la lunga soggettiva iniziale che permette di non vedere il volto del protagonista fin dopo l’operazione chirurgica e crea una forte identificazione nello spettatore, con momenti di grande suspance come quando vediamo le mani di Parry ritirarsi da quelle del poliziotto che fruga a tastoni sotto la coperta che nasconde il fuggitivo.
L’uso geniale della tecnica fa accostare Dark Passage a Una donna del lago, il film girato tutto in soggettiva fatto uscire dalla MGM nel 1946: in realta’ il soggetto di Daves e’ precedente al film di Robert Montgomery, ma Jack Warner non approvava l’idea che uno degli attori di punta della sua major, Bogart, comparisse de visu solo a tre quarti del film, cosi’ il film fu prodotto solo dopo il successo del film targato MGM; in realta’ la prova a volto fasciato che consente all’attore di recitare solo con gli occhi, conferma ulteriormente le grandi capacita’ attoriali dell’”impassibile” Bogey, qui al terzo film dei quattro girati accanto alla stupenda Lauren Bacall; ma menzionare anche la prova di Agnes Moorehead, perfida come non mai.
La fuga ha delle componenti che fanno pensare ad una certa specularità con Detour di Ulmer, uscito nel 1945: se nel lavoro di Ulmer gli incontri causali facevano precipitare il protagonista in una spirale di disperazione, nell’opera di Daves incontri altrettanto causali, prima quello con la ragazza che vuole riscattare l’ingiusta morte del padre, poi quello con il tassista che porta Parry dal chirurgo, forniscono al protagonista un’occasione di riscatto; anche dagli incontri con figure negative come il truffatore che tenta il ricatto, Parry riesce a ricavare informazioni che lo aiutano nel suo percorso: per Daves non e’ il destino a dominare l’uomo, ma questi ha la forza per piegare gli eventi a proprio vantaggio.
Il regista costruisce una San Francisco labirintica e a tratti metafisica dove i cartelli di senso unico stanno ad indicare la strada piu’ ovvia che il destino ha scelto, mentre il protagonista corre sempre nella direzione opposta, fino a raggiungere in maniera rocambolesca e al limite del verosimile il sospirato happy end. Avrei preferito che il film si chiudesse sul sottofinale della telefonata tra i due innamorati: la scena in Messico nel bar in stile moresco e con Bogart in giacca bianca ricorda un po’ troppo Casablanca.
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