Nino, maneggione di professione, tenta di sopravvivere con la madre Liliana nella Bologna del primissimo dopoguerra; quando scopre di avere in Puglia dei parenti paterni di cui non era a conoscenza, ed in particolare uno zio da sempre innamorato della madre, non esita a partire per buttare Liliana tra le braccia del cognato.
Mi ha piacevolmente sorpresa quest’ultimo film di Pupi Avati, regista che non amo in modo particolare.
Ho apprezzato la delicata malinconia con cui ricostruisce i primi anni del dopoguerra italiano: nel suo racconto vengono quasi mitizzati, come sempre si fa per il periodo della propria giovinezza, ma la durezza del momento riesce ad arrivare.
La storia narrata e’ molto particolare, in bilico tra commozione ed amarezza, e talmente coinvolgente che piu’ volte mi son ritrovata a chiedermi cosa sarebbe successo di li’ a poco e come sarebbe finita, imprevedibilita’ che ultimamente riscontro assai di rado al cinema.
Avati dimostra un grande talento nel trovare facce che bucano lo schermo, come quelle della famiglia del notaio e poi puo’ contare su un cast in stato di grazia: la Ricciarelli supera piu’ che dignitosamente la prova del debutto sul grande schermo, Neri Marcore’ e’ perfettamente credibile nella parte dell’infido Nino e l’ottimo Antonio Albanese riesce finalmente a uscire completamente dalle sue macchiette televisive, ma ad illuminare lo schermo sono le due vecchie zie, in particolare una grandissima Marisa Merlini.
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