Oh dae-su si ritrova improvvisamente imprigionato in una stanza, senza sapere come e’ arrivato li’ e chi ce l’ha portato. In quel monolocale, con la sola compagnia della televisione, dalla quale apprende l’omicidio della moglie di cui e’ l’unico sospettato, l’uomo resta quindici anni, trascorsi i quali viene liberato senza apparente motivo. Come si era ripromesso, Oh dae-su si mette sulle tracce del suo aguzzino per vendicarsi, ma il gioco e’ appena iniziato…
Ispirato all’omonimo manga giapponese e secondo capitolo della trilogia sulla vendetta (il primo capitolo e’ Simpathy for Mr. Vengeange mai uscito nelle sale italiane ma di prossima distribuzione in DVD), il film di Chan-wook Park lascia un segno profondo nella memoria degli spettatori non tanto per la stilizzazione della violenza, tratto tipico del cinema orientale, ma per la perfetta costruzione delle immagini, estremamente raffinate e profondamente simboliche.
Emblemi dell’interessante miscela tra cinema popolare e referenti artistici che caratterizzano la pellicola sono principalmente due scene: il piano sequenza della battaglia contro una trentina di scagnozzi in un corridoio, costruito come un videogioco, con la macchina che si muove solo lateralmente in uno spazio bidimensionale e la scena sulle scale del liceo il cui montaggio delirante richiama Escher.
E sul paradosso escheriano e’ costruito tutto il film con il suo doppio inizio: il film si apre con il protagonista che tiene per la cravatta un aspirante suicida che gli chiede chi egli sia e a quel punto Oh dae-su inizia a raccontare la sua storia, dalla forzata prigionia fino alla recente liberazione, dopo questa contorsione temporale la vicenda sembra prendere un andamento lineare fino al disvelamento del giallo dove il presente subisce una sovrapposizione con il passato dopo di che si torna ad un’aspirante suicida trattenuta sull’orlo del baratro con la medesima costruzione della scena iniziale.
Specularita’ e dicotomie caratterizzano il film non solo sul piano temporale: mentre il titolo stesso e’ una contraddizione in termini, le scene allo specchio sono numerose e ad un certo punto il confronto tra il protagonista e il suo persecutore e’ ripreso direttamente dallo specchio con gli attori che parlano in macchina e lo spettatore diventa speculare alla scena stessa.
Old Boy restera’ probabilmente una delle vette piu’ alte del cinema sudcoreano ed in quest’ottica e’ interessante vedere come le tematiche sviluppate da Chan-wook Park siano tipicamente occidentali: Il conte di Montecristo e’ espressamente citato ed Edmond Dantes fu imprigionato senza saperne il motivo ben prima che Kakfa affrontasse il tema e piu’ di una battuta rimanda a Il ritratto di Dorian Gray (la stessa risoluzione finale con l’ipnosi) inoltre c’e’ una rilettura della mitologia greca non solo attraverso la figura di Edipo ma anche la scena in cui Oh dae-su mangia il polipo vivo e cade svenuto con i tentacoli che si agitano serpentini dalla sua bocca impressiona soprattutto per il valore demoniaco dell’immagine, mentre l’allucinazione delle formiche e’ di chiara derivazione bunueliana (Un chien andalou ) Questo incrocio di stili e culture sta a significare che a contare non sono tanto le scuole o le correnti cinematografiche, ma l’ottimo cinema tout court, percio’ risultera’ totalmente superfluo l’inevitabile remake made in USA.
Emblemi dell’interessante miscela tra cinema popolare e referenti artistici che caratterizzano la pellicola sono principalmente due scene: il piano sequenza della battaglia contro una trentina di scagnozzi in un corridoio, costruito come un videogioco, con la macchina che si muove solo lateralmente in uno spazio bidimensionale e la scena sulle scale del liceo il cui montaggio delirante richiama Escher.
E sul paradosso escheriano e’ costruito tutto il film con il suo doppio inizio: il film si apre con il protagonista che tiene per la cravatta un aspirante suicida che gli chiede chi egli sia e a quel punto Oh dae-su inizia a raccontare la sua storia, dalla forzata prigionia fino alla recente liberazione, dopo questa contorsione temporale la vicenda sembra prendere un andamento lineare fino al disvelamento del giallo dove il presente subisce una sovrapposizione con il passato dopo di che si torna ad un’aspirante suicida trattenuta sull’orlo del baratro con la medesima costruzione della scena iniziale.
Specularita’ e dicotomie caratterizzano il film non solo sul piano temporale: mentre il titolo stesso e’ una contraddizione in termini, le scene allo specchio sono numerose e ad un certo punto il confronto tra il protagonista e il suo persecutore e’ ripreso direttamente dallo specchio con gli attori che parlano in macchina e lo spettatore diventa speculare alla scena stessa.
Old Boy restera’ probabilmente una delle vette piu’ alte del cinema sudcoreano ed in quest’ottica e’ interessante vedere come le tematiche sviluppate da Chan-wook Park siano tipicamente occidentali: Il conte di Montecristo e’ espressamente citato ed Edmond Dantes fu imprigionato senza saperne il motivo ben prima che Kakfa affrontasse il tema e piu’ di una battuta rimanda a Il ritratto di Dorian Gray (la stessa risoluzione finale con l’ipnosi) inoltre c’e’ una rilettura della mitologia greca non solo attraverso la figura di Edipo ma anche la scena in cui Oh dae-su mangia il polipo vivo e cade svenuto con i tentacoli che si agitano serpentini dalla sua bocca impressiona soprattutto per il valore demoniaco dell’immagine, mentre l’allucinazione delle formiche e’ di chiara derivazione bunueliana (Un chien andalou ) Questo incrocio di stili e culture sta a significare che a contare non sono tanto le scuole o le correnti cinematografiche, ma l’ottimo cinema tout court, percio’ risultera’ totalmente superfluo l’inevitabile remake made in USA.
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