La fotografia e’ strepitosa, grazie alla magnificenza del paesaggio sudamericano: dalla pampa argentina alla cordigliera andina: i momenti piu’ sentiti del film sono quelli dell’arrivo a Cusco e sul Machu Pichu, nonostante un retorico contrasto tra la grandezza della civilta’ incaica e la tristezza della capitale scelta dagli spagnoli: Lima. Non avendo letto i diari di Che Guevara, non so quanto egli nel suo viaggio abbia subito il fascino della civilta’ precolombiana, di certo porre l’accento piu’ sulle questioni razziali ed ecologiste che quelle politico economiche, rispecchia la filosofia del produttore americano, Robert Redford. Anche il documentario di Gianni Mina’, recentemente trasmesso da Rai3 e’ si concentra piu’ sull’influenza che a Lima il dottor Pesce esercito’ sui giovani viaggiatori, piu’ che sulle rovine Incas.
Ultima tappa del viaggio e’ il lebbrosario di San Pablo in Peru’ , dove lo spirito egalitario di Ernesto Guevara esce allo scoperto nel suo modo di approcciarsi ai malati senza protezioni: ai guanti che le monache rettrici del lebbrosario impongono ai dottori viene dato il valore simbolico di creare una barriera tra lebbroso e medico, barriera accentuata dal fiume che divide il lazzaretto in due: da una parte il villaggio dei malati, dall’altra le residenze dei medici e nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, il 14 giugno 1952, Ernesto Che Guevara attraversera’ quel ramo del Rio delle Amazzoni a nuoto per tuffarsi completamente nel mondo degli umili.
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