Suggestione e dipendenza nel cinema
di Sergio Arecco (Le Mani, Recco 2003)
Perché considerare vampiri solo il conte Dracula, o Nosferatu, e i loro discendenti più o meno diretti? Il cinema ci ha dimostrato mille volte che il vampirismo, o, più globalmente, la dipendenza, sono una specie molto diffusa, soprattutto nelle loro forme più sottili e insinuanti, quelle nascoste tra le pieghe del quotidiano. Vampiro può essere qualunque seduzione segreta, qualunque fascinazione del desiderio, qualunque travestimento dell'inconscio. Vampiro può essere una musica, un manoscritto, un partner misterioso, uno scambio sessuale. Il cinema stesso, processo di scambio per eccellenza, è il più intrigante dei vampiri…
Quindi un libro a largo raggio, un attraversamento della storia del cinema - il più antico tra i film presi in esame è Femmine folli di Erich von Stroheim (1921), il più recente
Parla con lei di Pedro Almodóvar (2002) - alla ricerca di quella presenza segreta che, anche grazie alla costitutiva ambiguità dell'immagine, si rivela sempre sotto mentite spoglie, alterando contorni e prospettive, identità e figure. Un esempio. Il primo, tra l'altro, suggerito dal libro, che segue volutamente un percorso trasversale, accostando o incrociando i modelli cinematografici più vari, onde creare - vampiricamente ? - un labirinto di rimandi nel quale il lettore possa liberamente perdersi per poi ritrovarsi e magari perdersi di nuovo. L'Ospite di Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968), il giovane affabile e inquietante che sconvolge la vita di una famiglia segnando irreparabilmente il destino dei suoi componenti. Un angelo? Un demone? Perché il vampiro ha questo di bello, o di terribile: che non lo riconosci mai per quello che è, che ti si mostra sotto l'aspetto più inoffensivo e piano piano ti spossessa, ti rende succubo, ti fa diventare un altro, e sempre con la tua complicità, con il tuo consenso. Nel libro si parla, facendo riferimento proprio a un passo del Dracula di Bram Stoker, di Messia rovesciato. Pensate - dice più o meno il dottore incaricato della caccia al mostro - se quest'uomo, invece di adoperarsi per portare la peste e seminare ogni maleficio, si fosse adoperato per recare all'umanità ogni sorta di beneficio, di bellezza, di grandezza. Quanto potere, e così male impiegato… Ecco, il libro esplora proprio questa doppiezza, questo margine di dubbio, questa intercambiabilità degli opposti, così frequente nel messaggio cinematografico, messaggio per sua natura ingannevole ed equivoco. Un altro esempio. Jack lo Squartatore, un mito del cinema antico e moderno. Alfred Hitchcock, in Il pensionante (1926), ne fa un uomo ingiustamente sospettato, un angelo scambiato per un demone. Georg W. Pabst, in Lulu (1928), ne fa un demone scambiato per un angelo, ma un demone non meno demone dei demoni/demoni che formano la corte di Lulu, angelo/demone per antonomasia, idolo femminile di indecifrabile suggestione. La vittima, il carnefice: il loro indissolubile legame e destino. Quanto cinema si gioca su questo dilemma? Il libro dà molto spazio a certo cinema gangster o nero, considerato nelle sue vesti più diverse: Means Streets (Martin Scorsese, 1973), Fratelli (Abel Ferrara, 1996), Le iene (Quentin Tarantino, 1992), oppure Giungla d'asfalto (John Huston, 1950), Rapina a mano armata (Stanley Kubrick, 1956), The Killer (John Woo, 1989), Frank Costello faccia d'angelo (Jean-Pierre Melville, 1967, un titolo che fa molto al caso nostro anche se altera quello originale). Che cosa lega questi film? Un gioco crudele e ineluttabile, il gioco che vincola il membro di un clan a rispettare le regole del clan stesso, a costo della vita, o della morte. Come chiamarlo quel vincolo? Non è il medesimo vincolo che lega il vampiro ai suoi subalterni, e viceversa? E non è un vincolo dai tanti nomi? Pensiamo al rapporto tra il regista e la troupe, o tra il regista e il produttore, in Lo stato delle cose (Wim Wenders, 1982); tra Paul e le sorelle Brown in Le due inglesi (François Truffaut, 1971); tra il padre tiranno e la figlia inerme in Il colore viola (Steven Spielberg, 1985); tra l'ufficiale francese e lo junker prussiano in La grande illusione (Jean Renoir, 1937); tra Véronique e Weronika in La doppia vita di Veronica (Krzysztof Kieslowski, 1991); tra la madre possessiva e il figlio abulico in Mamma Roma (Pier Paolo Pasolini, 1962); tra la dark lady e il vagabondo in Ossessione (Luchino Visconti, 1943); tra umani e replicanti in Blade Runner (Ridley Scott, 1982), tra angeli e umani in Il cielo sopra Berlino (Wim Wenders, 1987). Ancora gli angeli… per una rassegna che non vuole essere né conclusiva né esaustiva. Perché i film proposti sono ancora tanti, fino a un limite di trentacinque: trentacinque film-campione sui quali si esercita un'analisi intensiva e comparativa che associa situazioni e culture diverse, paradigmi e stilemi diversi, mondi e registi diversi (ci sono anche Dreyer, Fellini, Fassbinder, Cronenberg…), tenendo sempre sott'occhio e sotto tiro quel confine lungo il quale le identità si confondono, i ruoli si scambiano, le parti si rovesciano. Non è forse vero che il Deckard di Blade Runner, il cacciatore di androidi, è un androide anche lui? E il libro finisce come deve finire, con l'esempio più eclatante e più recente, diciamo pure il più sconvolgente esibito dal cinema degli ultimi mesi: chi è il vampiro in Parla con lei di Almodóvar? Perché è indubbio che si tratti di un film di vampiri, essendo più che mai operante nel film un vincolo di onnipotenza/sudditanza. Ma dove sta l'una? Dove sta l'altra? Siamo sicuri che l'onnipotente infermiere Benigno controlli del tutto la situazione? O non sarà piuttosto suddito del bel corpo inerte di Alicia, la ballerina in coma? O tutte e due le cose? E Lydia, la torera destinata a rimpiazzare Alicia nello stato di coma? E Marco, che piange ascoltando la voce di Caetano Veloso? Chi gioca chi? E, più che altro, qual è il gioco? "L'Angelo, che ora è diventato Diavolo, è mio intimo amico": così recita la quarta di copertina, citando un verso di William Blake. E il libro è dedicato ironicamente a Irma Vep (anagramma di vampire), l'eroina del serial di Louis Feuillade (1915-16), interpretata da Musidora, la contorsionista dai grandi occhi neri, in calzamaglia nera… insomma la prima vamp della storia del cinema.
Sergio Arecco
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